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Cloudflare: finalmente la svolta

lug 10, 2019

Ogni epoca storica della lotta alla pirateria delle opere dell’ingegno ha avuto i suoi miti, le piattaforme o i sistemi che parevano invincibili e che sembrava dovessero mettere in ginocchio definitivamente le industrie culturali: i primi rudimentali sistemi di file sharing, Napster, l’evoluzione di Bit Torrent, la decentralizzazione offerta dai cyberlocker. L’icona dell’invincibilità negli ultimi anni era sicuramente appannaggio delle CDN (Content Delivery Network), dei servizi di reverse proxy e di Cloudflare in particolare. Era, perché la recente pronuncia del Tribunale delle Imprese di Roma ha segnato una svolta epocale nella lotta contro il famigerato servizio californiano.

Ma andiamo con ordine. Con l’adozione di nuove strategie di lotta alla pirateria come i blocchi IP e DNS, con l’utilizzo sempre più massiccio e profondo di sistemi di monitoraggio e N&TD, con l’adozione del Regolamento Agcom, i titolari dei diritti erano riusciti negli ultimi anni a colmare il gap che li poneva cronicamente in ritardo rispetto ai pirati. La risposta dei contraffattori non si era fatta attendere ed era partita la corsa all’utilizzo delle reti distribuite e dei servizi di reverse proxy, con Cloudflare di fatto in posizione di monopolista del mercato. Servizi che nascevano per garantire sicurezza per i siti web e maggior efficienza nella fruizione degli stessi, erano diventati lo strumento principe per celare l’identità degli amministratori ed evitare misure di inibizione all’accesso. Un dato testimonia la diffusione di questa pratica: quasi il 60% dei siti bloccati da Agcom per violazione del diritto d’autore (oltre 1.000 blocchi) utilizzavano i servizi di Cloudflare . L’esplosione dei servizi di reverse proxy presentava un ulteriore profilo di rischio rispetto ai sistemi del passato: mentre le varie forme di file sharing e di messa a disposizione di file illeciti colpivano solo il mondo del diritto d’autore, l’avvento di tali sistemi colpiva anche il mondo dei marchi; così, Cloudflare sta(va) diventando il porto sicuro anche per tutti coloro che creavano e gestivano siti per la vendita di beni contraffatti (dai monitoraggi DcP è emerso che ormai circa il 30% di quei siti si servivano di Cloudflare ).

Collaborava Cloudflare? Si riusciva, come con altre piattaforme, a instaurare un rapporto che prevedesse una seppur minima forma di adeguamento spontaneo? No. Cloudflare ha sempre rifiutato la qualifica di hosting provider , si è sempre appellato all’obbligo di rispondere solo al DMCA, ha puntualmente informato gli amministratori dei siti sulle richieste di rimozione e si è sempre rifiutato di terminare i servizi per i siti illegali.


24 giugno 2019 : questa è la data della svolta. È la data nella quale il Tribunale ha rigettato il reclamo di Cloudflare e confermato quanto stabilito in sede cautelare.

Lo Studio Previti , con la consulenza tecnica di DcP e le acquisizioni delle prove informatiche compiute da Kopjra , ha ottenuto questo importante provvedimento al termine di una complessa azione giudiziaria. L’azione è stata costruita con il ricorso a monitoraggi profondi del web, ad acquisizioni forensi delle evidenze informatiche, all’utilizzo delle istanze Agcom e facendo leva sull’esperienza e i numerosissimi precedenti favorevoli ottenuti in materia dalla Studio.
Da notare che, nonostante Cloudflare sia al centro di roventi polemiche a livello internazionale e che sia oggetto di numerose azioni, si tratta del primo pronunciamento in assoluto sulla questione in Italia.

Con provvedimento collegiale, il Tribunale in sede di reclamo, ha confermato che:

  • La competenza giurisdizionale appartiene al giudice italiano
  • Come dimostrato dalla consulenza tecnica di DcP, alcuni servizi offerti dalla società californiana (‘Always online’ e ‘Cloudflare Stream’), sono qualificabili come ‘hosting’
  • Trova applicazione la direttiva 2000/31/CE (e-commerce) recepita in Italia dal d.lgs 70/2003. Il ‘prestatore di servizi’ (Cloudflare) è quindi tenuto ad agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime, non appena a conoscenza dell’illecito
  • Ordinato a Cloudflare di cessare immediatamente la fornitura dei servizi ai siti pirata oggetto dell’azione (anche eventuali alias riconducibili agli stessi amministratori)
  • Ordinato a Cloudflare di comunicare immediatamente a RTI i dati identificativi sugli hosting provider e sugli amministratori dei siti
  • Condannato Cloudflare al pagamento di una penale pari a 1.000 euro per ogni giorno in cui dovesse manifestarsi la violazione dell’ordinanza
Alessandro La Rosa
che sia onere del prestatore predisporre un’organizzazione adeguata per affrontare eventuali segnalazioni di attività illecite senza poter pretendere particolari formalità se non quella di una informazione dettagliata del tipo di illecito rilevato

“E’ una vittoria storica” dichiara Luca Vespignani , Amministratore Delegto di DcP e Segretario Generale di FPM (Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale), “Cloudflare era diventato il porto sicuro per chiunque volesse gestire un sito illegale e nascondere la propria identità. L’utilizzo delle CDN era anche diventato lo strumento migliore per limitare l’effetto di contromisure tecniche a difesa dei diritti come i blocchi IP e il regolamento Agcom. Questo provvedimento segna un passaggio fondamentale per la difesa del diritto d’autore e, in proiezione, anche dei marchi : senza lo “scudo” della CDN di turno, la vita per i siti illegali sarà molto più difficile”.

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